
“Nel sogno la memoria è cinematografica, le persone si muovono; nel ricordo da svegli la memoria è fotografica, procede per immagini fisse, di una meravigliosa immobilità definitiva.”
I racconti di Giulio Bollati, scrittore ed editore, si presentano come scatti di una vita, momenti della sua storia personale nella Storia del Novecento che l’autore fissa in otto brevi prose, «quasi-racconti» di sobria eleganza: «Non ricordo, le mie fonti sono ormai irraggiungibili, così l’episodio nella forma che ho detto e il modo in cui è arrivato fino a oggi, affidato soltanto alla mia memoria, mi fanno riflettere sul confine eternamente impreciso tra mito e storia».
Raccolti e pubblicati postumi con un’introduzione di Claudio Magris, gli scritti sono una produzione inedita dell’autore, in parte probabilmente composti per rimanere privati. Lontano dallo sguardo saggistico de L’Italiano (1983), il Bollati delle Memorie minime lascia sullo sfondo l’attività culturale e l’impegno editoriale, che risuona piuttosto nelle situazioni e nei nomi illustri citati con casualità, e dedica ai suoi ricordi più intimi questi frammenti narrativi. Grandi figure della letteratura e della politica novecentesca sono così rappresentate con famigliarità in istantanee affettuose; Italo Calvino è il compagno di viaggio arrestato dalla polizia francese per aver partecipato ad un congresso dei Partigiani della Pace, Nikita Kruscëv un «sovrano inesperto» messo in difficoltà da un tartufo, la cui gestione è relegata alle cure culinarie della moglie
«Erano poche immagini di maniera, scolorite e quasi cancellate. Struggenti, certo, ma solo perché inventate da lui, impossibile ripetere il miracolo». Con delicata ironia, l’autore si sofferma su alcuni episodi della propria vita, momenti solo in apparenza indipendenti e disarticolati; i racconti di vacanze, una breve autobiografica musicale, l’impegno dedicato alla cura degli oleandri si manifestano infatti come «erbe selvatiche, i tic, le piccole mutazioni della personalità», che Bollati stesso lascia emergere «osservandoli con curiosità, come se fossi uno spettatore di me stesso», sottraendosi così all’aneddotica banale per mostrarsi «nella vacanza di quella parte di noi che resta inutilizzata, nel dislivello tra ciò che siamo e ciò che immaginiamo di poter essere».
Affidati ad una prosa misurata e disadorna, i ricordi si svelano in costante equilibrio tra il desiderio di farsi comprendere, come dimostrano le diffuse e minute puntualizzazioni, e una reticenza sottile che copre il senso degli eventi, e trova nelle frequenti domande poste dall’autore a sé stesso la manifestazione di un’incertezza, o della pluralità di significati che il ricordo nasconde.
La voce narrante, oscillando tra distacco e sentimentale partecipazione, non si espone mai completamente, lasciando al lettore il compito di intuire e costruire l’identità sottesa dell’autore, lo stesso che afferma: «Non sono affatto sicuro di riferire con esattezza, perché la nostra vera conversazione si svolgeva al di sotto delle parole», e dei personaggi che lo circondano, in un gioco di confusione dei piani del racconto che sembra divertire Bollati. E se l’autore dichiara la propria antipatia nei confronti del tono confidenziale che implica l’uso del nome proprio per le personalità di spicco, e fa mostra di non cogliere immediatamente il riferimento della contessa Leopardi a Giacomo, il lettore comprende e non può non sorridere della posa da cui Bollati non si libera nemmeno con gli amici che lo accompagnano da Picasso, e lo conduce all’istintivo puntiglio della domanda: «Pablo chi?».
Recensione di Camilla Maffinelli
Giulio Bollati, Memorie minime, 2024, Bollati Boringhieri, pp. 164, ISBN: 9788833943039