We shall walk again

Il tema del lutto nei film di Wes Anderson «Maybe we could express ourselves more fully if we said it without words», sussurra ai suoi figli Patricia Whitman nel film The Darjeeling Limited. Il crepuscolo è rosa-azzurro quando Jack, Peter e Francis Whitman giungono, dopo un lungo viaggio in treno, al monastero in cui vive la loro madre. La donna si è rifugiata tra le montagne himalayane un anno prima, senza avvertire nessuno, a seguito dell’improvvisa morte del marito. Alla richiesta di spiegazioni da parte dei figli, lei suggerisce di non parlare: sulle note di Play With Fire dei Rolling Stones, la famiglia si scambia sguardi che raccontano il dolore profondo, il rimorso, e soprattutto l’amore. Wes Anderson, regista e sceneggiatore americano, racconta nella propria filmografia la perdita e il lutto, temi còlti con «lo sguardo agrodolce della commedia» (Linus n°11, 2023, p. 3). Tipico di Anderson è l’utilizzo del dispositivo dello straniamento: nelle surreali situazioni riprese nei film, può essere percepita un’autenticità davvero profonda. La realtà viene rappresentata, dal regista, satiricamente, cosicché lo spettatore possa scorgere, negli stravaganti personaggi, tratti della propria personalità. Seguendo splendori e miserie dei protagonisti, è possibile guardare a se stessi con indulgenza e sguardo critico. L’articolo si propone di analizzare The Darjeeling Limited (Il treno per il Darjeeling, 2007) e The Royal Tenenbaums (I Tenenbaum, 2001), entrambi film che hanno come soggetto una famiglia disfunzionale e il suo modo di continuare a camminare – andare avanti – dopo una perdita. Si tratta di «bizzarre favole universali, semplici solo in apparenza» (ivi, p. 39): i personaggi di Anderson, per quanto – o forse, in quanto – stralunati, lanciano messaggi enigmatici anche nei loro silenzi; «malinconici per disillusione, ma con ironia, e senza sgualcirsi troppo» (ibid.), essi sono portavoce di grandi verità. Un po’ come i fool della tragedia shakespeariana. The Darjeeling Limited, quinto film del regista, vede i protagonisti – i fratelli Jack (Jason Schwartzman), Peter (Adrien Brody) e Francis (Owen Wilson) – intraprendere un viaggio attraverso l’India per ricongiungersi con la madre (Anjelica Huston). Francis, il maggiore, ha contattato Peter e Jack – questi è il più giovane dei tre – per proporgli di incontrarsi e ritrovare il rapporto che anche tra loro, dopo la morte del padre, era andato perduto. Anderson compie un lavoro magistrale nel caratterizzare i tre personaggi, il cui aspetto strampalato è la manifestazione espressa without words di un dolore interiore: Francis è reduce da un incidente in moto quasi fatale – solamente alla propria madre confesserà essere stato un tentativo di suicidio – e ha il volto pieno di bende e cerotti; Peter si è appropriato degli occhiali da vista e della cintura del padre, oggetti a cui è morbosamente attaccato; Jack, laconico, cammina scalzo e indossa sempre una vestaglia gialla da camera. Quest’ultimo, inoltre, si professa scrittore ma tutte le storie che scrive – nonostante lo neghi – non parlano che dell’incidente in cui il padre ha perso la vita. Peter rileggerà quei fogli stropicciati senza farsi vedere dai fratelli, nel bagno del treno, piangendo, riconoscendo nelle parole scritte una forma sublimata del traumatico evento. Altri elementi di importanza simbolica sono le valigie, appartenute al defunto genitore, che i tre fratelli portano con loro. Un accadimento, durante il viaggio, segna profondamente i protagonisti: camminando verso una stazione nei pressi di un villaggio indiano, incontrano un gruppo di bambini che tenta la traversata di un fiume. Quando la corrente li trascina via, i fratelli si tuffano per salvarli, ma uno dei bambini muore annegato. I protagonisti lo portano al suo villaggio, e vengono poi invitati al funerale, rappresentato accuratamente dal regista: i presenti sono vestiti di bianco, il corpo viene cremato e le ceneri sparse nel fiume. Non ci sono scene esplicitamente tragiche, c’è silenzio; il padre del bambino, però, mentre le ceneri del figlio vengono sparse, perde i sensi, e lentamente scivola sotto il pelo dell’acqua. In questo senso, Anderson narra without words il dolore per la perdita. Questo funerale è anche l’occasione, per i protagonisti, di rivivere il trauma che li accomuna: con un inaspettato flashback, i Whitman vengono colti sul taxi che li sta accompagnando al funerale del padre. Francis non ha il volto bendato, Jack porta un paio di scarpe e un elegante completo, Peter non indossa ancora gli occhiali del genitore. Emblematiche sono le parole di Francis all’aeroporto in una delle ultime scene del film: «I guess I’ve still got some more healing to do», dice ai fratelli, guardandosi allo specchio dopo essersi tolto davanti a loro – per la prima volta dall’inizio del viaggio – le bende e i cerotti. Il suo volto è ferito, ma quei segni, sintomatici di ferite più profonde, guariranno. Si potrebbe considerare Francis come il motore della vicenda: consapevole di trovarsi in un momento di enorme difficoltà, ha cercato la riconciliazione con la propria famiglia, dando sia a se stesso che a Jack, Peter e la madre la possibilità di metabolizzare il loro comune trauma. Simbolicamente, i fratelli abbandonano le valigie del padre sulla banchina della stazione – un peso troppo grande per poter riuscire a correre – e salgono sull’ultimo treno per tornare a casa. Anche The Royal Tenenbaums è una pellicola popolata da eccentrici personaggi, tutti «partecipi della stessa tristezza a bassa intensità», «nostalgici e un po’ spaesati» (ivi, p. 40). Come in The Darjeeling Limited, a essere protagonista è una triade di fratelli che si interfaccia con la morte del padre, con una differenza sostanziale: se i Whitman cominciano il loro simbolico viaggio verso la riconciliazione dopo la perdita del genitore, i Tenenbaum lo intraprendono prima che essa avvenga. Nel film si intrecciano le vicende della (disfunzionale) famiglia Tenenbaum, composta da Royal e Etheline Tenenbaum – i genitori – e i figli Chas, Richie e Margot. Tra i protagonisti c’è anche Eli (Owen Wilson), amico dei fratelli fin dall’infanzia. Dai flashback che costellano i primi minuti della pellicola, si intuisce che Royal (Gene Hackman) è stato un padre anaffettivo e distante che ha passato