“Stavo vivendo il momento decisivo della mia vita? Avevo la sensazione che quella crepa che mi portavo dietro da sempre adesso si stesse ricucendo davanti ai miei occhi, e che quindi, a partire da quel momento, la mia esistenza sarebbe stata significativa e coerente come i miei libri preferiti. Allo stesso tempo, avvertivo la forte consapevolezza di essere sfuggita a qualcosa, di essere finalmente uscita fuori da un copione già scritto.”

Nel settembre del 1996 Selin torna ad Harvard per l’inizio del suo secondo anno di università. Ha trascorso l’estate in Ungheria come insegnante di inglese in un piccolo villaggio; un’esperienza entusiasmante che però ha intrapreso spinta esclusivamente dal disperato tentativo di avvicinarsi a Ivan, il giovane matematico ungherese conosciuto l’anno precedente al corso di letteratura russa.

Aut-Aut, di Elif Batuman, è l’atteso seguito de L’idiota (2017), che narrava le esperienze di Selin durante il suo primo anno ad Harvard. La protagonista è l’alter ego letterario di Batuman, una voce che puntella il racconto di continue domande sulla realtà e sulla propria identità.

Selin misura se stessa non solo nel confronto con le persone che la circondano – in particolare con l’amica Svetlana, che sostiene di vivere una “vita etica”, a differenza di Selin che condurrebbe una vita “estetica”, sulla scorta di Kierkegaard –, ma soprattutto con le proprie letture, che vive con tale intensità da arrivare spesso a confonderle con la realtà. La sofferenza per la relazione mai sbocciata con Ivan, ormai lontano dal campus, la getta in una spirale di disperazione da cui riuscirà ad uscire anche grazie all’aiuto di uno psicologo. Convinta dell’importanza delle esperienze sessuali per la propria crescita, Selin si apre a un periodo di esplorazione, tra feste, alcol e relazioni occasionali. Questa sua ricerca di “vita vissuta” riflette la sua convinzione più profonda: per diventare una scrittrice deve accumulare quante più esperienze possibile da trasformare in arte.

Il romanzo non segue una trama rigida, ma si sviluppa attraverso le varie esperienze di Selin, che non smette mai di interrogarsi sulla legittimità di usare le persone e le loro storie per nutrire la scrittura. Durante un seminario sul tema della fortuna, si imbatte in Nadja (1928), il romanzo surrealista di André Breton, basato sulla sua breve relazione con una giovane donna, poi internata in un istituto psichiatrico. L’idea, descritta nella quarta di copertina, che “Nadja non sia tanto una persona quanto il modo in cui fa agire gli altri” inquieta profondamente Selin, che prova un forte senso di repulsione verso questa concezione strumentale dell’essere umano. Eppure, nel proseguire della narrazione, anche lei inizia a relazionarsi con i ragazzi che incontra in modo simile, usandoli come strumenti per vivere esperienze. Ciò che la turba maggiormente rimane però la consapevolezza che anche la storia della propria famiglia e la complessa relazione tra i suoi genitori siano diventate una risorsa creativa per la propria scrittura autobiografica.

Nel finale, il romanzo si sposta in Turchia, dove Selin intraprende un viaggio in solitudine. La postura interiore della narratrice non cambia, e il lettore resta ancorato alle osservazioni della sua mente critica e in costante analisi di tutto ciò che la circonda. Sebbene Selin sia consapevole che le storie che scrive sono banali e le esperienze vissute transitorie, non smette mai di affrontare con serietà le proprie domande sul mondo. In questo modo costringe anche i lettori a fare lo stesso, impedendo di liquidarle come semplici inquietudini giovanili.


Recensione di Vera Marson

Elif Batuman, Aut-Aut,  traduzione dall’inglese di Federica Aceto,  2024,  Einaudi,  pp. 416,  ISBN: 9788806255572