
“In un preciso momento la materia inorganica, che si decompone e muta costantemente, altererà anche la Sfinge, e proprio in vista di quel momento devo tenere i miei occhi ben piantati su di lei, per essere presente quando diventerà ciò che da tre millenni desidera diventare: polvere.”
Sfinge, quarto libro di Gabriele Di Fronzo (il premiato esordio per nottetempo, con Il grande animale, risale al 2016), non soltanto è davvero un romanzo, ma per giunta è un romanzo di rara pregevolezza, nel cui intreccio, e soprattutto nella cui lingua, si rinviene qualcosa di felicissimo: la cura. È questa, saldata ad una certa dose di ironica sobrietà, a far tutta la differenza fra uno stile povero e uno stile elegante; fra un intreccio e dei personaggi ben orchestrati, che reggono graniticamente alla prova del lettore, e altri che invece si sgretolano alla prima colluttazione.
La storia narrata è quella di Matteo Lesables, archeologo mancato, prossimo ai sessant’anni e courier per il Museo Egizio di Torino, incaricato – forse per l’ultima volta – di accompagnare un reperto all’estero: ma il reperto non è il solito reperto, e l’estero non è l’estero a cui Matteo è uso.
Portare la Sfinge a Shanghai, e vegliarla per una settimana (fino all’inizio di un’importante mostra dedicata ai tesori dell’antichità), costringe Matteo a fare i conti con il proprio passato, con un matrimonio finito tragicamente, una vita passata a fare lo straniero nei musei di tutto il mondo, e soprattutto con il senso del proprio mestiere. Se certe città sono infatti come grandi esposizioni museali a cielo aperto, Shanghai sembra rifiutare invece ogni linearità fra i secoli, ogni principio cognitivo di permanenza oggettuale:
Qualunque straniero a Shanghai, dopo essere sceso dall’aereo, potrebbe scrivere una prima lettera in cui dice di aver appena scoperto un mondo che altrove non è ancora comparso; quello stesso straniero, a distanza di un unico pomeriggio in città, potrebbe spedire una seconda lettera in cui giura di aver appena incontrato un mondo che altrove è scomparso per sempre.
Parallelamente, il protagonista viene incalzato da un presente brulicante, che si presenta sotto la guisa di venditori di tartarughe, di edifici e intere realtà che sembrano soggiogare il paesaggio circostante «con l’intelletto anziché con la forza», di una fatale attrazione per Qi (direttrice dello Shanghai History Museum), e infine di una proposta catartica: trasportare, per la prima volta nella vita, «qualcosa che non soltanto può rompersi e danneggiarsi, ma che può addirittura morire». Non si dica altro sulla trama, pena la banalizzazione.
Lo stile è, si diceva, curato: l’effetto di una lingua piana, nella sintassi e nell’incedere, è qui solo apparente, giacché ciascuna delle tessere che la compongono presenta uno scarto nel segno della ricercatezza, del tecnicismo (attentissimo ai materiali, alle questioni di mestiere…) – così la voce narrante di Matteo Lesables riesce a credersi effettivamente quella di un courier sessantenne vagamente abbacchiato, temprato nella professione e di ampie letture, e rifugge il dramma di tanti protagonisti che parlano sempre e soltanto, libro dopo libro, come chi li crea.
Una qualche variatio espressiva è sempre garantita, anche nei passaggi di maggior riflessività e rallentamento (sia narrativo sia linguistico), da metafore, similitudini, proverbi cinesi – immagini talvolta basse, vitalistiche e di grande espressività, ma assolutamente inattese: così ad esempio un’interprete può trovarsi, nel mezzo di un momento carico di pathos, «stravaccata come una bambina ammalata che guarda la televisione dopo aver fatto colazione».
Nel complesso, Di Fronzo sembra disporre continuamente, più che del mot, di una image juste – si sceglie questo termine per via della sua capacità di evocare anche una certa visività presente nel romanzo, dal piglio spesso cinematografico –, e più in generale di un pensiero analogico sempre operante nelle retrovie, di cui è dimostrazione il parallelismo, con cui si vuol chiudere questo lieto responso, tracciato da Matteo fra il viaggiatore (e il particolarissimo tipo di viaggiatore che è il courier) ed il fantasma:
Contrariamente a quello che si ritiene facciano i fantasmi, che pare ritornino ai luoghi dove in vita hanno sotterrato i propri tesori, il viaggiatore da quei tesori si allontana più che può. Forse così facendo si crede immortale. Io che viaggio con i miei tesori accanto, in quale tipo di fantasma mi risveglierò?
Recensione di Gian Marco Evangelisti
Gabriele Di Fronzo, Sfinge, 2025, Einaudi, pp. 224, ISBN: 9788806263836